martedì 25 ottobre 2011

L97 - Introduzione sui Kanji

La datazione dell’entrata in Giappone della scrittura ideografica non può essere stabilita con certezza. È probabile comunque che essa venne attraverso la Corea in qualche momento prima o attorno al V secolo d.C. È anche probabile che questa introduzione sia avvenuta gradualmente coprendo un lungo periodo storico, e che solo con l’importazione dal continente di elementi culturali cinesi tra cui soprattutto il Buddhismo nel VI secolo, la scrittura venne ad assumere una importanza (e diffusione) prima sconosciuta.


Il passaggio degli ideogrammi ad una lingua cosiddetta agglutinante come quella giapponese non fu cosa semplice. Gli ideogrammi nati in ambiente monosillabico-isolante dovettero essere sottoposti ad un lungo e laborioso processo di adattamento che richiese vari tentativi prima di approdare a una soluzione, che per quanto complessa, potesse ritenersi soddisfacente. In primo luogo gli ideogrammi si mostrarono insufficienti da soli a rendere graficamente tutte le componenti della lingua giapponese. Per la parte flessiva, pospositiva e quella funzionale si dovette ricorrere a caratteri fonetici che come vedremo furono col tempo sviluppati ad integrazione della scrittura ideografica. L’importazione degli ideogrammi cinesi in Giappone avvenne in tre diversi modi:
1. con l'acquisizione in giapponese di parole cinesi ideografiche (kango) con la forma grafica e il significato originali, ma con l’adattamento della pronuncia alle regole fonetiche della lingua autoctona (lettura on);
2. attraverso la “traduzione” dei singoli ideogrammi in giapponese, ossia con l’attribuzione al carattere cinese, del termine corrispondente giapponese di uguale significato o di significato più prossimo;
3. attraverso la creazione di nuovi segni ideografici creati dai giapponesi per le esigenze della propria lingua.
Nel primo caso le parole venivano trapiantate così com’erano in cinese con lievi adattamenti. Nel secondo caso gli ideogrammi cinesi venivano letti in giapponese (lettura kun). Per chiarire questo processo è come se volendo adottare in italiano un segno non fonetico come per il significato di ‘amare’ scrivessierò’ per “amerò”. Il segno, in questo caso il segno pittografico, sta per ‘am-‘ e perciò potrei scrivere ad esempio:ai’,avo’ per ‘amai’, ‘amavo’ ecc. Quindi il valore semantico di base andrebbe integrato e precisato con quello portato dai segni fonetici. Al significato generale del pittogramma di amore si aggiunge quello delle lettere fonetiche che, in questo caso, definiscono il soggetto e i tempi dell’azione. Con questo processo, in giapponese, anche il rapporto tra segno ideografico e pronuncia si rese piuttosto labile e instabile. Mentre, infatti, in cinese a ogni ideogramma corrisponde una sola pronuncia (in genere), permettendo un collegamento univoco, in Giappone i kanji possono avere più pronunce possibili a seconda del contesto testuale in cui si trovano (isolati o in congiunzione ad altri kanji) e del contesto semantico. Infatti, la lettura dei kanji dipende in buona parte dai rapporti con i segni vicini: in primo luogo, se esso sia un altro kanji, o un segno fonetico e poi, di quale segno si tratta. Insomma, la lettura dei kanji non è sempre la stessa, ma varia, entro i limiti delle letture accettate, a seconda del contesto. Può capitare che talvolta la pronuncia sia l’aspetto più ostico del processo di lettura a causa dell’incertezza che può crearsi. Capita frequentemente, nella lettura del giapponese, che di fronte a parole di difficile o ambigua pronuncia ci si limiti a cogliere il significato della parola, non essendo la pronuncia un elemento indispensabile del processo di comprensione.

 Okurigana

La lettura kun’yomi di un kanji risale all’antico linguaggio Yamato o Wago e riflette il tentativo di adattare la lingua polisillabica giapponese originale nei caratteri cinesi concepiti per una lingua monosillabica. Come risultato, in genere la lettura kun si porta attaccata una parte in hiragana, per permettere il completamento della pronuncia.
Es.

食(しょく) On’yomi / Lettura cinese
食べます(たべます) Kun’yomi / Lettura giapponese
La lettura di “origine” cinese non presenta alcunchè attaccato al kanji, mentre la lettura kun sì, e per questo il kun’yomi è associato alla pronuncia “giapponese”. Questi hiragana attacati ai kanji, si chiamano okurigana. Ovviamente non tutte le letture kun presentano degli okurigana, e gli okurigana hanno altresì una funzione non solamente fonetica, ma grammaticale: le coniugazioni di aggettivi e verbi, ad esempio, si rendono con gli okurigana:
かった
べます
べた
La parte in rosso indica la componente grammaticale del kanji.

Composti

Quando i kanji si compongono tra loro per formare una singola unità (jukugo) possono dar luogo a varie forme combinatorie a seconda del rapporto reciproco semantico e posizionale. In altre parole, il significato globale del composto dipende sia dal valore semantico di ciascun elemento singolo, sia dal rapporto che tali elementi stabiliscono tra loro. In genere i kanji composti hanno lettura on, ma sono possibili anche letture kun o miste. Un esempio di lettura tutta kun è: Furumono 古物, ‘cosa vecchia, usata’ è composto da due kun: furu (da furui), ‘vecchio’ e mono, ‘cosa’, ‘oggetto’. Lo stesso termine può essere letto anche in on: in questo caso, kobutsu; infatti la parola letta in on, ha in genere un significato più nobile, in questo caso: ‘cosa antica’, ‘cosa tramandata dai tempi antichi’. La lettura on, ha spesso un valore più dotto rispetto a quella kun perché rimanda alla culla della civiltà cinese.

Un tipo particolare di composti sono quelli in cui i due elementi sono due verbi letti in kun. Essi sono verbi composti, molto usati nella lingua giapponese. Per esempio: toriireru 取り入れる introdurre’, composto da tori (forma base: toru) ‘prendere’ e ireru ‘inserire’. Mottekuru 持ってくる ‘portare’ da motte (forma base motsu), ‘portare’ e kuru, ‘venire’. Alcuni composti possono avere, con lo stesso significato, sia la lettura kun che quella on.

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